Diventare manager migliori? Si può fare! (parte 1)

Small Talk con Luca Sartoni

Trascrizione dello Small Talk del 26 giugno 2023 con Luca Sartoni - si parla di Effective Management Workshop, un corso per diventare manager efficaci.

L'intervista, pubblicata in due post (qui la seconda parte), è stata leggermente modificata per adattarla al formato scritto.


Avanscoperta: iniziamo con una precisazione: effective management significa management efficace, non effettivo, si tratta di uno dei cosiddetti false friends. Per cui oggi parleremo di come diventare manager efficaci.
Luca, a chi è rivolto il tuo workshop?

Luca: Effective Management è un workshop rivolto a tutti e tutte coloro che per tanto tempo sono stati eccellenti professionisti e quindi sono stati abituati a portare grande valore alle aziende per cui lavoravano, ma anche a se stessi se lavoravano come freelance. Poi, per motivi dipendenti da loro o da altri, gli è stata offerta la promozione: a un certo punto ti trovi a guidare altre persone.
La verità è che quindi il tuo valore non è più solo il tuo contributo, ma dipende poi dall'efficacia delle persone che guidi, e dalla coesione e dall'efficacia del team intero.

E scopri l'amara verità: dirigere 5 persone non è 5 volte più difficile che dirige se stessi, ma è molto peggio. Questo perché tante di quelle che normalmente vengono definite soft skill, che uno può avere o non avere, ma comunque sono soft, quindi non contribuiscono in maniera diretta alla definizione della propria professione, diventano delle hard skill, cioè sono elementi assolutamente fondanti, cardinali e necessari perché la tua attività e il tuo contributo raggiungano i risultati che ci si spera.

Nel corso parliamo di cose come saper valutare i propri collaboratori, saper definire bene le aspettative verso le persone che lavorano con te, saper affrontare conversazioni difficili... e quindi in generale quelle che sono le basi di gestione efficace.
Chiunque si trovi nella circostanza di dover dirigere o influenzare in maniera sostanziale altre persone è il nostro target di riferimento: il corso è dedicato a queste persone.

Avanscoperta: mi preme una precisazione: si parla sì di persone che sono magari al primo incarico da manager, ma non solo, dico bene?

Luca: esatto. In generale, le persone che si trovano in una posizione di manager da poco sono quelle che sentono da parte loro questa sorta di dolore o manchevolezza in modo più acuto, perché fino a poco tempo prima erano dei top performer e la cosa è fresca. Per cui sì, si sentivano più a proprio agio nella professione precedente. Ma in realtà

tutti gli argomenti di questo workshop sono adatti a chi si occupa di gestire persone da tempo e si rende conto che in alcuni ambiti potrebbe migliorare, ed è addirittura funzionale a chi dovesse trovarsi in una situazione in cui tutto sommato il proprio ruolo di manager lo fa bene e inizia ad aspirare a qualcosa di più, cioè salire ancora più in nel rank aziendale, oppure puntare ad aprire la propria azienda o a fare spin off di un progetto.  

Sono tutte cose propedeutiche anche a chi ha già un'esperienza

Avanscoperta: rimarchiamo infatti che in questo workshop c'è qualcosa sia per quelli che potremmo definire first-time managers, quindi persone alla prima esperienza, ma non necessariamente.
Quando hai capito che c'era questo problema da risolvere, e quando hai deciso di volerlo iniziare a insegnare? In altre parole, quando è stata la prima volta che hai iniziato a approcciarti all'insegnamento

Luca: questo è un po' la storia della mia vita, nel senso che dal punto di vista professionale insegno da almeno 25 anni. Perché per mio spirito ogni volta che mi sono trovato professionalmente di fronte a grandi grandi sfide o anche grandi lezioni imparate, poi una volta risolto il problema dedico un po' di tempo a formalizzare una serie di principi che saranno utili per il futuro, ma che poi diventano anche utili punti di riferimento per altre persone che eventualmente si trovano in situazioni simili.
Quindi nella mia carriera ho avuto tante di queste occasioni in cui risolvevo una grossa sfida professionale, e la facevo diventare una sorta di blueprint per altri.

E questo corso non è un'eccezione: gli ultimi dieci anni praticamente li ho passati lavorando in Automaticc, l'azienda che sta dietro a wordpress.com, Tumblr JetPack e WooCommerce, per nominare i più conosciuti, e gli ultimi cinque li ho passati prima come Engineering manager, quindi gestivo un team che è partito con dieci ingegneri che riportavano a me, e poi nel giro di poco questo team è diventato una ulteriore division di cinque team: tre di prodotto, uno di infrastruttura e uno di mantenimento che riportavano direttamente a me.
Dovevo quindi gestire 30 persone in 17 time-zone in quattro continenti e per cui era necessario trovare una serie di principi che risolvessero alcuni problemi molto gravi che avevo.

All'inizio erano principi sul dover dirigere un singolo team. E poi quando sono diventato Director e avevo 5 team da seguire, sono diventati principi ancora più generali, ma molto dedicati a creare anche i prossimi leader per quei team, e quindi anche lo sviluppo dei manager.
Quello è stato il punto in cui ho capito che quella necessità era molto acuta nel nostro settore perché succede che le promozioni a team lead, e intendo semplicemente qualcuno/a che fino a oggi è stato/a un'ottimo/a ingegnere del software, programmatore o programmatrice che dir si voglia, o anche altre figure come designer o social media manager...

Succede che a un certo punto quando l'azienda cresce viene chiesto a questa persona brava e capace nel suo lavoro di dirigere altri, cioè di seguire un intero team. A volte è sufficiente essere anche un capo progetto per avere una sorta di responsabilità nei confronti delle persone che fanno parte questo progetto, o quantomeno avere una sorta di autorità nei loro confronti.

E purtroppo quello che succede spesso nel nostro settore, parlo dell'IT, è che tu diventi team lead, ti vengono date alcune responsabilità, che possiamo dividere in due categorie: ti viene data un'autorità, e ti viene data una accountability, ossia la responsabilità finale del risultato.
Però spesso non ti viene data una formazione completa per trasformare quelle che potevano essere le tue soft skill in hard skill, e quindi ti trovi a dire cose come: "come faccio a fare una performance review del mio team?" e spesso la risposta è: "queste sono le caratteristiche che l'azienda valuta", e ci si ferma lì, ma come andarle a valutare non ti viene detto.

E queste sono capacità che si possono sviluppare, si possono insegnare e si possono imparare, ed è poi dove vado a colmare questo gap, attraverso la mia formazione, e questo corso è dedicato esattamente questo: gli elementi fondanti di questi ruoli, che spesso si lascia che sia la singola persona a sviluppare.

Alcune persone lo fanno con più facilità, altre con un po' più di difficoltà, però sono cose che si possono imparare per rendere in grado le persone di gestire altre persone.

Avanscoperta: una delle parti fondamentali di quello che dici, anche andando a leggere quella scaletta degli argomenti che andremo a trattare nel corso, è la parte relativa al feedback: dare e ricevere feedback.
Leggevo anche un tuo post al riguardo, quando parli del famoso sandwich: quando una persona è incaricata di dare feedback e non sa come fare e non ha ricevuto una formazione adeguata, le si dice: quando devi dare feedback fai il sandwich. Ossia: dì una cosa positiva, in mezzo dì quello che davvero vuoi dire, e chiudi con qualcosa di positivo, per non chiudere in modo negativo.
E questo è lo schema da cui vogliamo provare a uscire con un corso come il tuo, ossia insegnare l'arte del feedback, che non può ridursi solo a dire cosa una persona ha fatto bene o male.
Uno dei punti che invece esponevi tu era, se ricordo bene: se devi dire qualcosa di positivo, fallo, e se devi invece comunicare qualcosa di negativo, fallo e limitati a quello, altrimenti il messaggio viene diluito e la persona che riceve il feedback non capisce cosa intendessi davvero e quali sono le aree di miglioramento.

Luca: questo è uno degli argomenti che mi appassiona più di tutti. Questo del sandwich è uno degli schemi classici, che non solo le persone fanno in modo naturale, ma spesso viene persino suggerito... e io mi sento di dire che è ora di abbandonarlo. Funziona così: si imbottisce un elemento valutativo critico con un'introduzione piacevole e una chiusura piacevole, quindi si dice una cosa buona, una cosa cattiva e un'altra cosa buona.
Qual è il problema? Quando si dà feedback o comunque quando si ha una conversazione che ha una finalità, perché dare feedback ha una finalità, bisogna sempre tenerla in mente.

La finalità di dare feedback, sia che sia positivo, cioè apprezzativo, sia che sia valutativo, è quella di cambiare il comportamento dell'altro individuo. Cioè: se è un apprezzamento, amplificare la componente positiva del suo contributo; e sei è invece una parte valutativa-critica, è cambiare radicalmente o sostanzialmente un comportamento che non riteniamo sia in linea con le nostre aspettative.

Se partiamo da questo presupposto, ossia che il nostro obiettivo è cambiare il comportamento di qualcuno, dobbiamo rivedere il modo in cui comunichiamo questo feedback per ottenere il massimo dell'efficacia di questo messaggio.
Perché un messaggio sia efficace, deve essere consistente e chiaro, e questi sono i suoi due aspetti.

Se noi guardiamo come è fatto un sandwich, non abbiamo né consistenza né chiarezza, perché: ho tre messaggi anziché uno, cioè il primo buono, quello cattivo e quello nuovamente quello buono, quindi già non è abbastanza diretto, e secondo sono cognitivamente diversi: uno è buono, uno è cattivo, e l'altro è buono. Facendo così, la persona dall'altra parte a quale si attacca di più?
Anche qui dipende: c'è chi si attacca di più alla parte valutativa-critica, quindi quella centrale, e c'è chi si attacca di più alla parte di elogio, quindi il rischio è che si abbia una cosa molto importante da comunicare in senso critico-valutativo e la persona è contenta comunque perché ha ascoltato solo l'inizio e fine.
Oppure il contrario: si vuol dire a qualcuno che è molto bravo ma che potrebbe fare anche questa cosa in più, e quella persona diventerà ossessionata a fare solo quella cosa in più (quella in mezzo al sandwich).

Qual è il modo per risolvere questo problema? Essere estremamente chiari, diretti e specifici. Il feedback si dà comunicando solo uno di questi tre elementi, direttamente, e il mio consiglio è quello di separare completamente le occasioni in cui si elogia qualcuno dalle occasioni in cui gli/le si danno gli elementi per migliorare.

Idealmente sono due conversazioni completamente separate nello spazio e nel tempo. Serve essere espliciti nella divisione di questi momenti, per cui vanno programmati in modo chiaro: oggi parliamo solo di queste cose, su cui voglio che lavori e su cui devi migliorare, e domani invece parliamo delle cose che hai fatto bene e dovresti continuare a fare così.
Questo aiuta molto le persone a capire quello ci si aspetta da loro e quindi diventare più efficaci, che è la chiave del nostro workshop: diventare più efficaci come manager.

Avanscoperta: grazie mille per aver elaborato su questo. Ricordo che era anche l'argomento di una live che abbiamo fatto nel 2021, dove si parlava di collaborazione asincrona tra team, e una delle cose più importanti che vedremo è proprio quella di essere molto espliciti, e ancor più quando si tratta di team distribuiti o non co-locati. Ma si tratta di pratiche e usanze che fanno bene anche a team dove le persone condividono uno stesso ufficio.

Luca: quando ho iniziato a lavorare su questi argomenti per farlo diventare un programma di corso, che poi sia declinato in questo workshop, all'inizio facevo questo ragionamento: "ho lavorato per dieci anni in un'azienda distribuita, voglio supportare chi lavora in un contesto remoto", perché all'inizio era mia convinzione che uno dei valori aggiunti che potevo dare al mercato era aiutare chi passava da un paradigma di collocazione, quindi lavoro tradizionale tutti nello stesso ufficio, a un regime più moderno, che può essere remoto, ibrido o addirittura remote-first/distribuito.

Questa è un'idea iniziale mia. Mi sono dovuto mangiare il cappello, come accade nei fumetti, perché poi ho fatto un percorso di seminari in un'azienda tradizionale che non solo è collocata ma è anche molto vecchio stile - producono vino e fanno ospitalità - e ho fatto un percorso ai loro capo reparti. Avendo sempre lavorato nell'ambito tech, prima di loro non ho mai visto nessuno così affamato di queste tecniche, e nelle settimane successive a questo seminario ho visto un'evoluzione enorme delle loro capacità.

Parliamoci chiaro: fare training di persona con un trainer è una cosa, però questi argomenti non sono segreti, questi argomenti sono tanti libri, sono su tantissimi blog, sono su YouTube, e nel nostro settore si è abbastanza esposti, per cui se uno è interessato può andare da vederli. Anche se secondo me c'è un forte limite sull'apprendimento, perché l'apprendimento di queste cose deve passare per una grande componente di esercizio, però chi lavora in un altro settore e addirittura in un altro tipo di industria come nel caso di produzione vitivinicola, accoglienza e ospitalità, non passa la giornata al computer, esposto a tutto quel contenuto potenziale: fa altro. Per otto ore, dopo aver timbrato un cartellino, non fai quel tipo di attività che ti porta eventualmente a distrarti un po' con un video su YouTube. Magari ti occupi di imbottigliamento in cantina, per cui parliamo di persone totalmente digiune di questi argomenti.
E le aziende non promuovono direttamente questo tipo di attività, e se avviene, spesso si comprano dei prodotti (corsi) di sviluppo del management e della leadership da parte di agenzie che propongono determinati corsi.
Quindi per loro è roba nuovissima e mai sentita prima, vengono da un mondo in cui il feedback si dà solo nel modo classico del sandwich.

Dopo aver iniziato a mettere in pratica alcune di quelle cose nuove viste con me nelle settimane successive, venivo contattato da queste persone via email e mi dicevano: "ho provato a fare quello che mi hai detto e sono rimasto sorpreso dal risultato che ho ottenuto. Erano 6 mesi che dicevo al mio collega che doveva imbottigliare in un certo modo, e lui ogni volta mi metteva le etichette storte... da quando abbiamo fatto il modulo su come definire le aspettative coi propri collaboratori e mi hai dato il template per fare la definizione delle aspettative... ho tutte le etichette dritte!".

Quindi questi sono principi che si applicano sia in un'azienda distribuita sia in un'azienda remota, ma sono utili soprattutto a chi lavora in regimi più tradizionali di co-locazione o addirittura disconnessi da un punto di vista tecnologico, come chi lavora nella produzione (intesa come produzione di beni materiali).

Avanscoperta: ecco ora una domanda dalla chat, da parte di Davide. Si parla di feedback, questa volta di feedback da dare al proprio manager. Come possiamo comunicare un feedback negativo come per esempio la tendenza a fare micromanagement?

Luca: ci sono almeno due cose che devo assolutamente dire in merito. La prima è che quando si parla di feedback, preferisco chiamarlo apprezzamento o momento valutativo, più che positivo negativo.

Poi, in generale, questa domanda è eccellente perché ci fa scoprire una cosa: il dolore di avere un manager che non è efficace non lo paga direttamente il manager sul breve periodo, perché il manager pagherà quel problema nel lungo periodo, e ci arriviamo. Ma il primo scotto di avere un message non efficace lo paga chi lavora per lui o per lei, ossia i suoi collaboratori.

Quindi se avete intenzione un giorno di diventare manager, pensate seriamente di essere pronti quando lo fate. Se avete l'ambizione di diventare manager fatelo nel momento in cui avete le basi, perché altrimenti renderete la vita degli altri un inferno.

E questo, a cascata, poi cadrà anche su di voi, e lo dico perché io sono stato un pessimo manager. Cioè ho reso un inferno la vita a un gruppo di persone 15 anni fa, quando lavoravo in un'azienda austriaca e sono andato molto vicino al burnout, cioè ho bruciato il team, ho quasi bruciato me stesso e mi sono licenziato dopo qualche settimana da quando sono successi alcuni fattacci.
Quindi il mio consiglio: è siate pronti quando lo fate.

Ma torniamo alla domanda. Un altro elemento di questa domanda, prima di rispondere, è il cosiddetto micromanagement.
Io sono una persona delle poche persone che troverete online di questo settore a dire che il micromanagement è utile, è fondamentale e a volte salva le vite.

Il micromanagement si basa su tre elementi, e questi sono:

  • il manager è la persona più esperta nel dominio di azione in tutto il gruppo di lavoro,
  • le timeline siano estremamente corte
  • il rischio è esternamente alto.

Faccio un esempio: se andate in pronto soccorso e siete in codice rosso, voi sarete molto felici di sapere che il medico del pronto soccorso che lavorano in emergenza è un micromanager, perché: è il più esperto nella stanza, lavora con una timeline molto corta, e ha un rischio altissimo (si tratta di vite umane, e se qualcosa va storto ci sono i video che ti incastrano).

Qual è il vero problema che porta il micromanagement essere praticamente inutile nel nostro settore, se non addirittura deleterio, e da evitare quasi sempre?

È che quando lo si fa in assenza di questi tre presupposti, si tende a far sì che questi tre presupposti poi si sviluppino, e quindi uno che fa micromanagement tende a pensare di essere l'unico che sa le cose, lavorerà sempre con timeline troppo corte e non ragionevoli, e il rischio tende a salire moltissimo.

Quindi la prima ragione per scoraggiare il micromanagement è: non dobbiamo portarci dietro questo problema, cioè non dobbiamo stringere le timeline, non dobbiamo alzare il rischio, e soprattutto è importante che quella persona si renda conto di non essere necessariamente la più esperta.

Per scoraggiare un'attività di micromanagement in qualcuno/a che lo fa in maniera istintiva, come il manager del caso della domanda, suggerisco questa strategia: la prima cosa da fare è conquistare la fiducia del manager, quindi iniziare ad avere una documentazione più consistente della propria attività come individuo, documentando esattamente cosa fai e che risultati ottieni di volta in volta. Questa documentazione inizia a portarla nei tuoi colloqui col tuo manager dicendo: "questa settimana ho fatto queste attività, e questo è il modo in cui quelle attività sono collegate alle richieste che tu mi hai fatto. Vorrei chiederti il permesso, la prossima settimana, di allentare un po' le richieste per vedere se riesco ad andare ancora meglio." Questo è il primo passo.
Quando questa richiesta viene accettata, la settimana successiva si porta un log delle attività fatte che, naturalmente e senza dovere fare trucchi, sarà molto più efficace di quando si era sotto uno stretto controllo, quindi si chiede di allentare un po' la presa e si portano i risultati migliori e li si confronta insieme, facendo vedere che allentare un po' la presa produce risultati migliori.

Però bisogna anche essere disponibili a considerare un'altra circostanza, perché se invece succedesse che quando c'è più controllo ci sono risultati migliori, allora bisogna anche accettare che forse quel manager fa bene a fare micromanagement. Noi partiamo dal presupposto che non ci piace, quindi non va bene farlo.
Io dico solo bisogna misurare bene e portare queste misure sul tavolo e avere una conversazione intorno a queste misure.

Come comportarsi nel caso in cui nonostante le misure diano ragione noi e quindi bisognerebbe allentare molto la presa, questa chiesa non viene allentata? Quello è un problema di natura organizzativa e aziendale e, per come la vedo io, è una di quelle situazioni che dovrebbero essere escalate al dipartimento HR ed eventualmente in alto se la cosa dovesse essere particolarmente acuta.
Perché se una persona in qualità di manager non è disponibile a cambiare il proprio atteggiamento di fronte a dei dati oggettivi è difficile trovare un angolo sotto il quale sia corretto andare a cambiare il suo atteggiamento.

Avanscoperta: il famoso "cambia lavoro, non puoi cambiare il lavoro."

Luca: c'è uno studio di Gallup, che è un istituto americano di ricerca del mondo del lavoro. Loro fanno tantissimi studi sul mondo del lavoro, e secondo uno studio che è stato pubblicato qualche mese fa il 70% delle persone che cambia lavoro indica come principale motivo che li ha spinti ad andarsene il rapporto che ha con il proprio manager. Cioè reputa il manager talmente inefficace e talmente incapace da essere l'elemento principale, non l'unico ma il principale, per essere andati via dall'azienda.

Questo cosa significa? Che il/la manager non solo ha la responsabilità di ottenere i risultati attraverso il lavoro del proprio team, ma anche una responsabilità verso l'azienda di mantenere le persone impiegate, perché le aziende spendono enormi quantità di soldi per fare recruitment di talenti.
Soprattutto in questo periodo, per un'azienda acquisire talento è molto costoso, e se c'è un manager che fa perdere talento... che poi il talento che si perde non è mai quello più scarso: le persone che vanno via per prima sono quelle più brave. Quindi se un manager per sua inefficienza o inefficacia tende a perdere personale sta facendo un doppio danno all'azienda.

Dal punto di vista del manager qual è il problema? Il problema è che prima o poi qualcuno se ne accorge e prima o poi qualcuno porrà rimedio questa circostanza, e lo può fare in diversi modi: il primo è il de-mansionamento, il secondo è allontanamento, e il terzo è la formazione.

Siccome sappiamo tutti come funziona in questo ambiente, per cui tutto è molto dinamico, vengono scelti più spesso i primi due modi, ossia de-mansionamento o allontanamento. E quindi il mio consiglio è sempre: la formazione fatela, e probabilmente quella arginerà i primi due problemi.

Avanscoperta: ecco ora una domanda da Noemi, sempre relativamente alle sessioni di feedback e il fatto che si tratti di momenti delicati. Noemi ci chiede: "stai suggerendo che usare i one-to-one per dare feedback cumulativi potrebbe non essere così utile. Quindi sarebbe meglio dare i feedback di volta in volta?".

Luca: la risposta corta è sì, ma io non sono capace a dare risposte corte. Nel nostro workshop, c'è una parte che si chiama "conosci meglio i tuoi collaboratori". Uno degli aspetti in cui invito i manager a conoscere meglio i propri collaboratori è porre una serie di domande che ti facciano sapere esattamente come il tuo collaboratore preferisce ricevere feedback: ci sono persone che preferiscono ricevere immediatamente feedback quando succede qualcosa, intendo davvero nel giro di pochi minuti, quindi preferiscono avere sempre un canale aperto con il proprio manager perché vogliono avere immediatamente questo feedback.
Ci sono persone che in questa modalità non riesco a lavorare perché si sentono teleguidate o comunque perché questo in loro genera più stress, e preferiscono dedicare un tempo limitato, quindi meglio fare time-boxing, e fare questa sessione di feedback in un evento canonico, come può essere il one-to-one settimanale, o creare un evento dedicato ogni 15 giorni, perché preferiscono ricevere il feedback in modo cumulativo.

Quindi la risposta non è tanto cosa è meglio dal punto di vista del manager, ossia se è meglio dare il feedback in modo puntuale o no. Io preferisco dire: mettetevi d'accordo con ognuno/a dei vostri collaboratori per rispettare la loro preferenza sul quando ricevere un feedback.

Invece riguardo al come: se il feedback è puntuale, e qui dipende dai vostri feedback loop e quanto sono lunghi (se sono giornalieri, se sono orari, se sono settimanali, ecc), o addirittura completamente asincroni... ogni singolo punto di feedback vorrebbe essere atomico e dovrebbe essere apprezzamento o valutazione critica. Quindi ogni singolo elemento non deve mai avere più di una di queste caratteristiche.
Quando si fa feedback cumulativo, è comunque fondamentale separare le sessioni di feedback di apprezzamento dalle sessioni di feedback di valutazione critica.

Ora, una delle una delle domande che mi è stata fatta in passato e che si collega a questa è: "però se faccio così mi servono due settimane in tutto: una sessione in una settimana e una la settimana dopo". Invece è sufficiente, se si ha un one-to-one di un'ora, dedicare la prima mezz'ora alla parte apprezzativa, e parlare delle cose positive, e la seconda mezz'ora a quella valutativo-critica, per affrontare le cose da migliorare. La cosa fondamentale è prendersi una pausa tra le due: bere un bicchiere d'acqua, alzarsi, spegnere la videocamera, e rivederci dopo 5 minuti. Il che vale anche per i meeting in presenza, ovviamente.
L'importante è uscire dal contesto e poi rientrarci, ma facendo una vera e propria pausa, anche fisicamente, che serva a separare davvero i due momenti. Questo limita la confusione e serve a dare la giusta importanza a ciascuna sessione.

Avanscoperta: questo significherebbe anche rivedere in modo abbastanza importante le varie sessioni di feedback annuale, tipo le classiche performance review, o no?

Luca: parliamo un attimo di questa review annuale. Diciamo che la frequenza con cui si è soliti fare questo tipo di meeting è annuale, semestrale o trimestrale. Sono tempi sufficientemente lunghi, e per me quella annuale è davvero un'eternità, il tutto in un settore che si muove molto velocemente: se parliamo di costruire una nave, che ci metti dieci anni, allora fare una performance review annuale ci può stare.
Ma nella produzione del software, o di un qualunque lavoro dematerializzato, quante cose cambiano un anno fa? Un anno fa, per dire, non avevamo ChatGPT.

L'idea che suggerisco io è costruire una specie di piramide alla cui base ci sono tante interazioni frequenti e piccole, come per esempio: lo stand-up giornaliero, e io chiedo: "parlate tutti i giorni coi vostri collaboratori?", anche solo nel senso di "buongiorno, buonasera, come stai?" in una chat informale? Perché è fondamentale che il o la manager sia presente nella vita delle persone tutti i giorni. Quindi avere una buona routine per dire: "se hai bisogno, io ci sono", questo dovrebbe avvenire giornalmente.
Poi, andando su per la piramide, si aumenta di profondità e ci si restringe in frequenza. Quindi per esempio io suggerisco di avere one-to-one con i propri collaboratori ogni settimana o ogni due settimane, e sicuramente non più e non meno frequente di ogni due settimane.
Salendo ancora nella piramide suggerisco di fare dei one-to-one dedicati a conversazioni un po' più profonde almeno una volta al mese.
Poi se arriva alla performance review, che idealmente è trimestrale o semestrale: consiglio di non andare più lunghi di così, perché può capitare di saltarne una, e se ne salti una poi diventa una performance review annuale.

Ma soprattutto è importante rendere questi appuntamenti frequenti ed essere estremamente rigidi nel rispettarli: non si saltano mai i one-to-one settimanali o bisettimanali, e se si saltano, la regola ferrea dovrebbe essere che se ne può saltare uno, ma si può mai saltarne due di fila, e se dovesse succedere bisogna riprogrammarli in modo molto deciso e impegnarsi a rispettarli nuovamente, altrimenti si cade nell'abitudine di farli diventare da "regolari" a "quando capita".

Perché di cose prioritarie ne càpitano continuamente, ma questi meeting sono i capostipiti del rapporto tra manager e collaboratore.

Avanscoperta: domanda da Riccardo: "l'ideale sarebbe dare feedback su base settimanale". Anche se abbiamo già risposto, facciamo il punto.

Luca: sì, è importante fare i one-to-one con i propri collaboratori su base settimanale, ma secondo me anche anche più spesso: ogni volta che c'è qualcosa che può essere fatto per migliorare le azioni di qualcuno/a, questo dovrebbe essere fatto.
Tenendo conto che il feedback non mai monodirezionale: il feedback sempre è una conversazione. Per cui la domanda è: siamo disposti anche noi a ricevere feedback frequentemente, ma soprattutto a cambiare le nostre azioni come conseguenza di quel feedback?

Questa è una domanda che invito tutti a porsi, perché spesso sia molto bravi a pensare di essere in grado di dire agli altri come lavorare meglio, però si tende a essere un pochettino più rigidi sull'essere disponibili a cambiare il proprio modo di lavorare in base a quello che ci dicono gli altri.

Avanscoperta: qui ci ricolleghiamo al secondo spunto di Riccardo, nelle domande, perché si parla sempre del feedback che riceve uno sottoposto o una sottoposta, ma la conversazione va in entrambi i sensi. E Riccardo appunto dice di avere difficoltà a ricevere feedback in qualità di manager.

Luca: anche questa è una capacità che si sviluppa ed esistono tecniche per "chiamare" feedback e soprattutto ottenerlo. Vediamo alcune di queste tecniche.

La circostanza che ci servirà da esempio è: Riccardo è manager, ha una serie di collaboratori, e spesso Riccardo chiede ai propri collaboratori, o al proprio manager: "hai feedback per me? Come posso migliorare?" Di solito la risposta è o silenzio assoluto o cose minime tipo: "cambia la foto profilo su Slack" oppure: "ma guarda, vai benissimo così", con grandi pacche sulle spalle. E questo l'ho visto succedere tantissime volte.

Quindi come fa Riccardo a togliersi da questa ignavia da cui è circondato? Lo fa essendo molto più specifico e deliberato nella domanda che pone.
Invece di chiedere: "hai feedback per me?", che porta la persona a non avere ben chiaro in testa cosa vuole Riccardo, e quindi si tende a dirgli: "sei bravo", perché è il modo più facile anche per togliersi dal mirino di Riccardo... Riccardo può partire da una domanda, la dico prima in inglese, ossia:

"what can I do, or what should I stop doing, that gets in my own way?", che significa: "cosa posso fare, o cosa devo smettere di fare, che mi impedisce di essere quello che potrei essere?"

Questa domanda è più generale di dire: "hai feedback per me?", ma invita le persone a riflettere un po' di più, perché intanto sto chiedendo di dirmi cosa posso fare o cosa devo smettere di fare... e già qui limito il loro feedback alle azioni (cosa fare o smettere di fare), e poi do anche il mio obiettivo, che è migliorare la mia efficacia, e quindi non si tratta solo di accarezzare il mio ego.

Quindi già questa domanda, così fatta e chiesta con regolarità, ti darà più risultati che fare una domanda come quella tradizionale.

L'altro suggerimento che do è iniziare a essere ancora più specifici e fare una sorta di movimento laterale. Questo che sto per dire è aneddotico, ma funziona, e farò un esempio che sia chiaro a tutti.

Scrivo un documento per il mio blog, in bozza, lo scrivo tutto e voglio che qualcuno mi dia consigli su come migliorarlo. Io so perfettamente che l'intro mi piace, quindi su quella parte non voglio feedback. Ma mi piacerebbe aiuto per migliorare qualcos'altro.
Allora faccio questa domanda: "ti piacerebbe leggere la bozza e dirmi come posso migliorare l'intro?" Qui è interessante, perché controintuitivo. Cosa otterrò? Se l'intro è veramente forte, probabilmente la risposta che otterrò sarà: "ma no, l'intro è davvero potente, fossi in te guarderei meglio la conclusione". E a quel punto ho l'occasione per parlare delle altre parti dell'articolo dove effettivamente volevo feedback, e dire: "bene, come la faresti la conclusione?", e ci focalizzeremo esattamente dove volevo un feedback.

Perché se tu cominciassi dicendo: "mi potresti dare un aiuto per migliorare la conclusione?" probabilmente otterresti come risposta: "ma la conclusione va bene, cambia l'intro", perché è difficile rispondere immediatamente a una domanda del genere.
Allora il mio consiglio è di far partire la conversazione, e appena questa va nella direzione in cui vuoi tu fai la domanda che avresti voluto fare dall'inizio.

Ora usciamo dall'ambito dell'editoria, parliamo di gestire un team di ingegneri. A me capitava che i miei team lead mi dicessero: "i miei colleghi non hanno mai niente da dirmi", e io consigliavo di chiedere loro: "chiedigli se arrivi in orario alle riunioni", e loro: "ma io arrivo in orario alle riunioni", e io: "lo so: chiedilo a loro e vediamo che ti dicono".

Per cui la tecnica è: fate una domanda per la quale avete già la risposta e di cui siete sicuri, e vedrete che le persone vi diranno qualcos'altro in cui magari dovete migliorare.

... to be continued! Non perderti la seconda parte dell'intervista.

Cover photo: Foto di Kid Circus su Unsplash

Small Talk con Luca Sartoni: il video - il podcast - la seconda parte dell'intervista su questo blog.


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Luca è il trainer di Effective Management Workshop.

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Luca Sartoni

Luca è un Leadership coach con 2 decenni di esperienza nella creazione di valore per l'industria del software. Ha costruito team ad alto impatto per risolvere problemi complessi.

Enrico Meloni

Event manager and specialist, producer, customer experience, trainers' roadie and assistant - ensuring all stakeholders have a great time and an impactful learning experience.

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