OKR: La cultura dell'obiettivo
Intervista a Francesco Fullone
Una nuova intervista con una vecchia conoscenza in casa Avanscoperta: Francesco "Fullo" Fullone. Approfondiamo l'argomento OKR per capire meglio come questi possono aiutarci a pianificare le attività aziendali in modo più efficace e rispondente a mission e vision. Sembra facile ma... quante volte si va davvero a segno?
Buona lettura!
Avanscoperta: Ciao Francesco, come stai?
Francesco: Bene, è un periodo divertente (e allo stesso tempo complesso) che mi sta permettendo di lavorare portando i concetti di OKR e innovation/sustainability design su settori industriali molto diversi. Decisamente stimolante!
Avanscoperta: Iniziamo con le presentazioni: chi sei e di cosa ti occupi?
Francesco: Questa è una delle domande che di solito mi mette più in crisi, riassumendo (molto) potrei dire che sono un multi potenziale (conoscete la teoria che ne sta alla base?) burbero.
Scherzando spesso dico che faccio cose, vedo gente e creo situazioni.
Faccio cose perché partecipo alla nascita e vita di diverse aziende come socio e advisor, e da qualche anno anche senza incarichi operativi. Li reputo obiettivi di investimento a lungo termine (sono i miei OKR strategici, per così dire) e faccio in modo che vadano avanti per conto loro ma con una visione chiara e condivisa (tra tutti i soci, operativi e non).
Vedo gente perché, sul fronte tattico, quello che mi porta il pane in tavola invece sono le attività da consulente strategico. Nello specifico mi occupo di business design in ottica di trasformazione digitale e/o sostenibile (visto che spesso le due cose vanno a braccetto). Individuo innovazioni incrementali (o meno) nei modelli di aziende e startup, e aiuto a innescare il giusto processo di cambiamento.
Oltre che il consulente faccio anche il formatore pragmatico, mi piace cioè insegnare cose su cui ho fatto esperienze dirette (sia positive che negative) portando in aula non solo i concetti teorici ma anche implicazioni pratiche del loro utilizzo.
Creo situazioni perché gestisco da ormai un paio di decenni una community abbastanza grande di software developers (oltre 3000 iscritti) con cui organizziamo conferenze tecniche sullo sviluppo web che, pre-covid, muovevano quasi 10k partecipanti l’anno da tutta Europa (qui il video che ne racconta la storia e gli OKR usati); ma dedico il mio tempo anche ad altre community di diversa grandezza e con diversi impatti sociali (per esempio, una fondazione che organizza eventi gratuiti per imprenditoria giovanile).
Avanscoperta: A quando risale il tuo primo approccio a tematiche inerenti l’organizzazione aziendale?
Francesco: Ho aperto la mia prima azienda a circa 20 anni, era uno studio associato in forma di cooperativa che aiutava le imprese a progettare e realizzare gli spazi lavorativi (capannoni, uffici e negozi) e digitalizzarli.
Mi sono scontrato da subito con le dinamiche organizzative, il che mi ha portato a seguire alcuni corsi più tradizionali e altri meno. Negli anni non ho mai smesso di studiare, sperimentare e guardare cose nuove ma ancora non sono arrivato a capire cosa significa avere una azienda organizzata.
Avanscoperta: Qual è stato il momento “eureka” (se ce n’è stato uno) in cui hai compreso davvero che il modo tradizionale di fare le cose non andava bene?
Francesco: Ho momenti eureka costantemente (ora che ci penso potrebbe essere un problema).
Se dovessi indicarne alcuni particolari, potrei citare quello che è arrivato leggendo The Goal, un altro leggendo la teoria dei Futures Cones e un altro ancora studiando come applicare il Cynefin al mio contesto lavorativo.
Riguardo alla seconda parte della domanda non generalizzerei, penso che il modo tradizionale possa funzionare (e funziona) bene in determinati contesti e molto male in altri. Bisogna capire e contestualizzare di volta in volta.
C’è anche un altro tema: capire il quando una cosa è da considerarsi tradizionale.
Il mondo delle aziende, soprattutto delle knowledge company, è relativamente giovane rispetto alla nostra cultura, e penso che molti aspetti ancora non siano stati affrontati fino in fondo o addirittura identificati.
Gli OKR stessi sono stati introdotti per la prima volta alla fine degli anni ‘70 e poi portati nelle grandi imprese della Silicon Valley alla fine degli anni ‘90. Direi che in questi ultimi 20 anni hanno acquisito lo status di strumento tradizionale di management, anche se forse poco utilizzato (o utilizzato male).
Avanscoperta: Facciamo di chiarezza: cosa intendiamo per OKR (Objectives and Key Results), e in cosa sono diversi da un’altra sigla che spesso leggiamo al loro fianco, i KPI?
Francesco: OKR è una sigla che sta per Obiettivi e Risultati chiave. Gli obiettivi sono semplicemente ciò che deve essere raggiunto, né più né meno. Attenzione però perché non si parla di obiettivi numerici, ma strategici.
I risultati chiave (key results, KR) sono un banco di prova e servono a tenere sotto osservazione il modo in cui arriviamo all'obiettivo strategico corrispondente.
Per definizione i KR devono essere misurabili e verificabili. E una volta che sono stati tutti completati, necessariamente l’obiettivo deve essere raggiunto.
Al contrario i KPI, Key Performance Indicator, servono a darci una misurazione di quello che sta succedendo intorno a noi o che stiamo facendo.
I KPI sono output che non implicano necessariamente il raggiungimento di un determinato obiettivo (per esempio avere un fatturato in crescita costante non significa avere una azienda in utile).
Gli OKR sono outcome e ci aiutano a dimostrare se quello che facciamo sta portando o meno risultati concreti.
Avanscoperta: Se si parla di OKR, si parla anche di mission e vision aziendali. Puoi aiutarci a capire meglio di cosa si tratta, e perché vanno sempre tenuti a mente in qualsiasi iniziativa che miri a rendere un’azienda più efficiente e migliore?
Francesco: L’azienda deve avere una cultura dell’obiettivo e deve anche avere un obiettivo ben chiaro a lungo termine: solo se tutti i collaboratori hanno chiaro e interiorizzato quale sia il macro-obiettivo dell’azienda e dove si sta andando tutti insieme (c’è chi la chiama “mission”, altri “purpose”), si potranno includere gli OKR nei processi aziendali.
Per fare questo c'è bisogno di avere una sorta di bussola morale (i core values) che aiuti tutte le persone che vivono l’azienda a prendere decisioni (di qualsiasi entità) al fine di raggiungere tale macro-obiettivo.
La vision, la mission e i core values aziendali servono a questo scopo.
La vision è la proiezione dello scenario futuro immaginato dall’imprenditore/imprenditrice.
La mission rappresenta la definizione del ruolo dell’impresa per raggiungere la vision.
I core values sono quei “filtri” utili alla cultura aziendale e che permettono di prioritizzare o scartare determinate idee non aiutano il raggiungimento della mission.
Avanscoperta: La volontà di apportare un cambiamento all’interno di un’azienda, per essere efficace e per potersi propagare, deve necessariamente partire dai livelli più alti, non è possibile “convincere” il proprio capo “dal basso”. Hai però mai assistito a casi in cui sono stati i dipendenti a promuovere un’iniziativa di cambiamento, e con successo? Al contrario: sono a capo di un’azienda, come convinco i miei dipendenti a voler intraprendere un nuovo percorso basato sugli OKR?
Francesco: Il cambiamento può avvenire, veramente, quando a tutti i livelli ci sono voglia e interesse a uscire da una determinata situazione.
Per farlo servono alcuni elementi: un’azienda che sa dove vuole andare, una cultura del fallimento e il coraggio di responsabilizzarsi nel portare avanti l’innovazione necessaria al cambiamento.
Senza tutti questi ingredienti avremo manager con piani superficiali e demotivanti o, dall’altra parte, persone ricche di voglia di fare ma senza una direzione o il desiderio di essere accountable nelle attività suggerite.
Non è quindi un problema di essere bravi a convincere il capo o i dipendenti: è un tema di creazione di un substrato di cultura utile a far germogliare il desiderio di cambiare. E questo è un problema imprenditoriale prima ancora che manageriale.
Avanscoperta: Perché le aziende non riescono a raggiungere gli obiettivi che si pongono?
Francesco: In molti casi perché non li sanno comunicare bene, internamente ed esternamente.
In altri casi perché si scelgono obiettivi irrealistici, dettati da desideri di “pancia” e presi senza valutarne una fattibilità sul fronte economico, delle competenze necessarie o del tempo necessario.
Avanscoperta: Sei autore del workshop OKR per aziende e persone. A chi si rivolge, e perché dovrei iscrivermi al corso?
Francesco: Il corso si rivolge a team leader, referenti di progetto o di area, C-level e imprenditori, ma anche a freelance e professionisti che vogliono migliorarsi.
Persone che hanno abilità e potere decisionale e possibilità di abilitare il proprio gruppo di lavoro ad abbracciarne le modalità operative.
Consulenti che vogliono organizzare il proprio lavoro dandosi obiettivi concreti ma allo stesso tempo sfidanti e di crescita.
A fine corso avremo una maggiore comprensione di come impostare una prima iterazione degli OKR strategici e tattici per l’azienda.
Penso che uno dei modi più efficaci che ho, oggi, per raccontare il workshop è citare il feedback di uno dei partecipanti alla seconda edizione:
Parafrasando qualcuno, “un obiettivo è nulla senza controllo” e questo workshop mi ha permesso di capire come acquisire il controllo sui miei obiettivi, personali e lavorativi. Se siete procrastinatori seriali, cintura nera di “scarica barile” o avete avversità al cambiamento, gli OKR vi metteranno in crisi. A tutti gli altri daranno i super poteri. Provare per credere!
Avanscoperta: Quanto uno scenario come il fully remote, che molte aziende stanno ora cercando di ostacolare (nuovamente) con il cosiddetto “ritorno alla normalità”, agevola l’adozione degli OKR?
Francesco: Il dover lavorare da remoto è sicuramente un motore di spinta per fare smart working, poiché fare smart working significa ragionare in termini di outcome e non output. E quindi torniamo in pieno al tema degli OKR. Ma credo che l’adozione degli OKR non dipenda da dove si lavori, solo dal come lo si faccia.
C’è anche da dire che remote working non significa smart working, e viceversa. Quindi, per assurdo, si possono avere anche aziende fully remote che però chiedono di smarcare il cartellino quando ci si alza dalla postazione domestica e aziende che abbracciano modelli smart anche se interamente localizzate.
Avanscoperta: In che modo gli OKR possono aiutare la comunicazione all’interno di un’azienda?
Francesco: Per far funzionare gli OKR è necessario farsi carico di una trasparenza cristallina (avete letto Radical Candor?) negli scopi dell’azienda e nello stato di avanzamento dei risultati chiave trasversalmente a tutte le aree aziendali. Senza questa trasparenza, l’allineamento di scopo e di risultato vengono a mancare rendendo tutto più complesso e forse addirittura controproducente rispetto a un modello operativo più chiuso e a silos.
Avanscoperta: Quali sono le scuse più comuni che si sentono quando si cerca di introdurre un cambiamento?
Francesco: Dal più classico “qui abbiamo sempre fatto così”, al più nascosto (ma sempre presente) “se fallisco nel cambiamento poi incolpano me”. C’è un grosso tema della paura di sbagliare nelle aziende dovuto alla mancanza di una sana cultura del fallimento.
Spesso il cambiamento è anche cercato, ma non si riesce a dedicare il giusto spazio e le giuste energie per portarlo avanti, rimanendo di fatto scottati di investimenti (in tempo, denaro e affetti) andati letteralmente alle ortiche.
Avanscoperta: Nella tua lunga esperienza, qual è l’errore più comune che hai visto fare quando si cerca di introdurre gli OKR, e come evitarlo?
Francesco: Pensare che gli OKR siano il martello di tutti i chiodi. Penso che non sempre vadano utilizzati e addirittura proposti se l’azienda/associazione/community non è pronta a comprendere cosa c’è dietro e che il consulente di turno debba capire in modo chiaro se e come vanno introdotti.
Mi è anche capitato di lavorare con aziende scottate dal fatto che gli OKR erano stati presentati come uno strumento di project management per “organizzare meglio” le attività quotidiane o che, ancora, fossero stati definiti obiettivi moonshot senza un minimo di analisi della effettiva capacità operativa dell’azienda.
Perché - tanto - bisogna puntare in alto.
Introdurre gli OKR senza la giusta preparazione dei soci, della board aziendale e del management è uno dei principali errori da evitare. Ma, purtroppo, anche uno dei più comuni.
Avanscoperta: Oltre ai tuoi numerosi meetup e talk sull’argomento (tra cui quelli ospitati sul nostro canale YouTube), che letture o video ci consigli per iniziare a entrare nel mondo degli OKR?
Francesco: posso consigliare certamente due libri: Measure with matters: OKRs: The Simple Idea that Drives 10x Growth di John Doerr, e Objectives and Key Results: Driving Focus, Alignment, and Engagement With OKRs di Paul R. Niven and Ben Lamorte.
Per quanto riguarda i video, ce n’è uno molto bello del già citato John Doerr: Why the secret to success is setting the right goals.
Avanscoperta: Il tuo hobby preferito, a parte una passione esagerata per gli Iron Maiden?
Francesco: Non ho un hobby preferito, più tanta voglia di comprare Lego e tenerli li in una scatola.
Avanscoperta: A cosa stai lavorando ora? Qual è il tuo prossimo progetto?
Francesco: Sto affiancando una startup nel mondo delle macchine per il mondo dell’Ho.Re.Ca. che portino un forte risparmio di acqua ed energia per la cottura dei cibi, una sulla produzione di led e sistemi IoT per monitoraggio e gestione di vertical farm, e una sulla produzione di contenuti usando un sistema di AI basato su GPT-3 e verticalizzata sulle lingue latine. Il tutto identificando obiettivi e risultati chiave ;)
Cover photo by Ricardo Arce on Unsplash.
Learn with Francesco Fullone
Francesco è trainer del workshop OKR per aziende e persone.
La lista completa dei nostri corsi: Avanscoperta Workshops.